Come potevo non guardarla? Si era tolta la veste bianca, si era sdraiata nel cielo notturno, e fumava una sigaretta, la solita sigaretta. Il fuoco che zampillava ad ogni boccata si rifletteva sui suoi occhi rossi, stanchi, stanchi di rimaner così tanto aperti. Stavano bruciando quei maledetti occhi. Sveglia tutta la notte, guardava il tempo contorcersi sul suo letto, come un insetto ribaltato. Con la testa cadente sul braccio piegato, guardava lo stesso spettacolo di tutte le notti. E intanto fumava, come se ogni sigaretta fosse un suo dito.
Povera luna, che nascondi le rughe sotto la cipria. Ancora giovane, appena nata, ti consumi nel silenzio di tutti quei rumori che non ti lasciano dormire. Costretta ad ascoltare i capricci dei tuoi figlioli che piangono, chiedendo nuovi giocattoli, nuove attenzioni, e forse, una nuova madre. Impassibile, ti chiedi perché, perché proprio te.
Il fumo, le luci, il freddo, il buio, tutto si accaniva sui suoi occhi. Il fumo delle fabbriche, delle macchine, dei sospiri, di tutte le sigarette assaporate guardando la luna. Le luci di un mondo che aveva paura del buio, paura di andare a dormire, di chiudere gli occhi e non veder più niente. Il freddo di spazi immensi, vuoti, fra di noi, fra me e la luna. Il buio di caverne, pozzi senza fondo, di stanze senza finestre e senza porte.
Come riusciva a sopportare tutto ciò? Forse fumando. Bruciava, come i suoi occhi, come il mondo supplicante ai suoi piedi. Lava incandescente ribolliva nelle sue pupille bianche, sul punto di esplodere, di lacrimare sangue. La pelle si infiammò, colorandosi di rabbia, frustrazione, delusione, di vendetta. Nuda, forse per la prima volta, si sarebbe strappata di dosso quella pelle insopportabile se solo avesse avuto ancora le mani; avrebbe urlato se avesse avuto ancora una voce; avrebbe pianto se solo l’acqua non evaporasse.
Rossa, ma ancora pallida, perché una signora mantiene sempre il suo decoro, anche quando ha perso tutto.
Povera luna, che ti castighi e ti perdoni da sola, indecisa in quale ordine. Non è colpa tua. Non è colpa di nessuno. Ci siamo lasciati andare, entrambi. Noi tante domande e poche risposte, tu tante risposte, ma senza voce per dircele. Così abbiamo smesso di parlarti e tu di ispirarci. Ci manchi. Mi manchi. E in quegli occhi insanguinati vedo per la prima volta la disperazione di una maledetta della notte, così come noi.
Guardandoci ci ricordiamo chi siamo. Ed io ti guardo solo ora che bruci in quel dolore che da un eternità ti porti dietro e che ricordi ogni sera.
Cara mia, brucia, affinché possa bruciare l’umanità intera.
E non avere pietà per noi, perché noi chiuderemo gli occhi molto prima di te.